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Marcondiro |
Marcondiro, più che la storia di
un ragazzo talentuoso che segue la propria passione, sembra una favola, la
favola di qualcuno senza nome che per magia realizza un sogno. Chi è Marcondiro
veramente?
“Marcondiro è un bambino cresciuto. Questa potrebbe essere la risposta,
sebbene laconica. Ma in realtà amo iniziare con la congiunzione e finire con
una sospensione quando scrivo e parlo e disegno. Beh (come direbbe la pecora in
cima al gregge) “far musica” è un’impellente esigenza, non un perseguimento di
un sogno. Il mio sogno (uno dei…) è di certo quello di poter vivere un’epoca
più stimolante e meno banale di questa che stiamo tutti vivendo. Lo realizzerò
forse il giorno in cui deciderò di coltivare la terra come coltivo i miei
pensieri. Continuerò a scrivere musica, come ho scelto di fare da tempo, come
terapia ai miei sogni, nel cuore della notte, per ricostruire il mio percorso
quotidiano”.
Perché Marcondiro? Qualche
reminescenza infantile?
“T
ante reminescenze. La più frequente fu quella
di mia nonna, che mi cantava la storia di un orso ballerino, di nome Marco, il
seguito della canzoncina in forma responsoriale, ho sempre pensato fosse stata
scritta dai grandi, dagli adulti, per abituare i bimbi alla guerra. Io non l’ho
mai cantata, “Oh che bel castello”, no mai! Mi piaceva sentirla da Lei. Un
giorno il suo testo fu un ottimo spunto per una riflessione”.
Dopo incontro con maghi e
maestri, e grazie alla intro-ispezione di te stesso, il tuo grande maestro, il
sogno, si realizza. Un album, 13 brani, la collaborazione di compagni di
viaggio degni della tua realtà. Ci racconti l’esperienza?
“Questo disco rappresenta la realtà del momento che sto vivendo, come
direbbe un mio caro amico: sempre in viaggio. Ed è il primo compagno, quello
ideale, poiché mi aiuta a ricordare le cose da portarci dietro e quelle da
lasciare, è mia moglie. La gestazione del disco è stata lunga e dura, ma
divertentissima, anche grazie alle persone che hanno lavorato e lavorano al
progetto Marcondiro. È un progetto di vita in arte, in atto. Alcuni di quelli
che hanno collaborato alla produzione di questo progetto, come Angelo Cioffi, mi seguono da tempo,
altri come Angelo Di Martino lohanno
accolto solo da poco tempo con piena consapevolezza, riconoscendo lo stile ed
il linguaggio. Parlando dello Stile, sebbene abbia profonde radici nella
cultura popolare (cosa che rende molto fruibile le canzoni), ha ramificato,
attraverso le avanguardie musicali e testuali che mi hanno accompagnato nella
crescita, un tipo di legno adatto alle ribalte del teatro di sperimentazione e
ricerca costante. Anche se, citando uno dei miei brani siamo lontani dal mondo attuale fatto di “velocità della
comunicazione, che ha superato quella della luce… e più che mai esiste
l’incomunicabilità”. I miei attuali “menestrelli” di viaggio sono un gruppo di
lucidi pazzi musicisti, che mi trascineranno sui palchi dello SpettAttore Vivo”.
Sei innamorato della lingua
italiana, oltre che della musica. Ti piace usarla per creare profondi punti di
domanda e fraseggi magici. Quanto è importante per un musicista/cantante, conoscere bene l’uso delle parole, per
non cadere nella banale scusa della “licenza poetica”?
“Banalmente ti rispondo: Molto! È fondamentale! Con una buona
conoscenza della lingua non perdi mai la strada. C’è una sorta di sicurezza che
ti accompagna sempre”.
Tempo fa hai messo su uno
spettacolo “Radioconcerto” un tributo alla radio italiana: quanto è stata
importante la radio in passato e che ruolo ha nell’attuale?
“Lo spettacolo mi ha fatto capire l’impatto che hanno le grandi canzoni
italiane nelle persone, che siano emigranti o immigrati e mi ha dato
l’opportunità di suonarle all’estero. In Canada o a Dublino, l’esperienza mi ha
fornito non pochi termini di paragone col modo di fare e di vivere la musica
nel nostro paese. Poco dopo ho avvertito l’esigenza di proporre musica scritta
da me, anche a questo mezzo di comunicazione, anche per capire quanto sia
comunicativa. La radio è sempre stata per me una scatola magica, attraverso cui
scoprire nuovi paesaggi sonori e visionari. Le radio oggi, nella maggior parte
dei casi, sono poco coraggiose e poco Radiofoniche!”.
Quanto l’attuale scenario
italiano ha influenzato la composizione del tuo album?
“Quasi niente, o quasi molto, volutamente troppo poco in realtà. Le canzoni sono autobiografiche e
a volte scritte in automobile, mentre osservavo scorrere il paesaggio del
nostro magnifico territorio, vituperato dall’ignominia dell’ignorante incuranza
del suo popolo. Ma la rigogliosa natura che lo riveste, supera il clamore ed il
chiasso del traffico. È superba la bellezza di cui siamo fatti”.
Hai qualche idea particolare per
la promozione dell’album?
“Andrò ad incontrare la radio, in un tour che inizierà a Maggio, per
raccontare qualche favola su qualche pezzo di canzone”.
Il tuo sogno nel cassetto?
“Non so come c’è finito”.
NOTA BIOGRAFICA
Una magia che non si spegne mai quella del cantautore cosentino. Le
storie di una nonna, un pianoforte giocattolo, la voglia di vedere il mondo con
altri occhi lo hanno accompagnato nell’unica scelta sensata per un talento come
lui: cantare storie. Questo è il destino di un bambino eternamente tale, ed è
tra le righe di quest’intervista che si esprime la massica cura nell’uso delle
parole che creino la magia più intensa, proprio nel raccontare di sé. Ed è lo
studio della musica, prima con maestri privati, ma prediligendo sempre il metodo di autodidatta poi, al D.A.M.S
dove si specializza di Etnomusicologia. Le strade percorse sono diverse, fatte
di incontri speciali e esperienze degne di essere raccontate, arrivando ad oggi
dove un punto fermo e fondamentale nel percorso di formazione musicale è
l’incontro con Angelo Cioffi, suo
mentore da sempre, col qualche ha realizzato diversi provini ed in fine le
registrazioni del disco di debutto: “SpettAttore”.
Nel 2009 conosce Angelo Di Martino
col qualche stabilisce un solido rapporto di stima e amicizia e lavora alla
pubblicazione dello stesso album. Un lavoro divenuto realtà proprio in queste
settimane. Storie e sogni che si trasformano in musica.
di Ivana D'Amico
(Set)